Sacro è quel tempo della rappresentazione, quell’attimo impalpabile che non è passato né futuro, è quella necessità che ha come punto d’origine la parte più nascosta delle viscere, è quel sentimento che ci rende umili di fronte al limite, di fronte allo sconosciuto o a quel conosciuto che non vorremmo vedere.
È quel timore di essere troppo animali, troppo istinto, troppo inconscio, quel ridicolo che si palesa di fronte al dramma.
Il rito per qualche ragione ne convoglia la forma.
Il rito non come ripetizione ma come intimo che si afferma e si presenta.
Il rito come spettacolarizzazione di quelle viscere, di quell’animale che ci rende ridicoli di fronte alla libertà dello spirito.
Il rito come manifestazione di un movimento, di un gesto carico di simboli.
Il rito come canto,
Il rito come spazio circolare,
Il rito come quel troppo che nell’ironia si completa.